(Fonte Mara Guarino, Itinerari Previdenziali) Se la Silver Economy – vale a dire il complesso di attività economiche rivolte specificatamente alla popolazione con 65 anni o più, che cessano parzialmente o totalmente l’attività lavorativa passando da uno stile di vita attivo a uno “differentemente attivo” – fosse uno Stato sovrano la sua economia si posizionerebbe per dimensioni alle spalle solo di Stati Uniti e Cina. Secondo i dati della Commissione Europea, che però estende la definizione di Silver agli over 50, nel 2015 questa parte di popolazione ha speso 3mila e 700 miliardi di euro in beni e servizi, contribuendo per 4mila e 200 miliardi di euro al PIL europeo e sostenendo 78 milioni di posti di lavoro in tutta l’Unione. Numeri votati a un’inesorabile crescita, stimata in un 5% annuo (anche in questo caso si tratta di un dato superiore a quello di quasi tutte le grandi economie del mondo, con l’eccezione di Cina e India), principalmente per l’aumento della popolazione di riferimento.
Per dare una dimensione numerica e circoscritta al nostro Paese, gli over 65 rappresentano il 23% della popolazione italiana, pari a circa 14 milioni di persone (di cui oltre la metà donne), che verosimilmente saliranno a oltre 16 milioni nel 2030. L’Italia si colloca del resto ormai in maniera stabile tra i Paesi più longevi al mondo, con una speranza di vita a 65 anni - anche se non sempre in buona salute - pari nel 2018 a 19,3 anni per gli uomini e 22,4 per le donne, vale a dire di 1 anno in più per entrambi i generi rispetto alla media dell’Unione Europea. Come rimarcato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, gli over 65 non rappresentano però solo una componente numerosa e importante della popolazione in termini socio-demografici, ma si caratterizzano anche per una condizione economica migliore e per una capacità di spesa superiore a quella delle altre fasce d’età. Nel dettaglio, i Silver dispongono di una ricchezza mobiliare e immobiliare media superiore del 26,5% rispetto al dato comprendente le altre fasce della popolazione e negli ultimi 25 anni hanno incrementato i propri consumi del 23,3%, a fronte di altre fasce costrette viceversa a ridurli.
Anche perché - va ricordato - gli ultrasessantacinquenni hanno in linea di massima una posizione familiare ed economica ormai consolidata e si trovano quindi nella maggior parte dei casi in una fase di decumulo, che li rende più propensi ad acquistare o usufruire di beni e servizi riguardanti la cura della persona e della salute (assistenza, farmaci e altre spese sanitarie, etc) e rientranti quindi nell’alveo della cosiddetta white economy, ma anche in ambito ricreativo - come spese per viaggi, turismo, tempo libero, strutture ricettive o di ristorazione - che confermano e ribadiscono con forza come vada superata un’immagine fin troppo stereotipata degli “anziani” dediti ai soli servizi sanitari e sociali. Basti pensare che, secondo le stime realizzate dal Centro Studi e Ricerche a partire dall’approccio già utilizzato dalla Commissione Europea, l’impatto dei Silver sull’economia italiana si può stimare in un totale di consumi pari a 304,7 miliardi di euro, che a propria volta genera un’occupazione di 5,6 milioni di persone e un PIL complessivo pari a circa 417 miliardi.
Una nuova grande economia, come appunto definita da Itinerari Previdenziali che, nel suo ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate, si propone di approfondire il tema della Silver Economy con l’intento non solo di quantificare e circoscrivere il fenomeno, ma anche di identificare e approcciare tanto i bisogni “tradizionali” quanto i bisogni “futuribili” dei Silver che, ancora di più alla luce dell’impatto della pandemia di COVID-19 (molto severa nei confronti della popolazione più anziana), necessiteranno sempre di più di un’offerta di beni e servizi dedicata, inevitabilmente specifica e declinata sulla base delle loro particolari esigenze e possibilità. Ragione per la quale è auspicabile un cambio di passo, che trasformi l’invecchiamento della popolazione da possibile criticità – da non sottovalutare del resto l’esempio dell’impatto dell’invecchiamento sulla spesa pubblica per la protezione sociale (pensioni, assistenza e sanità) – a risorsa e leva di sviluppo: come rilevato dallo studio, infatti, il progressivo ampliamento della platea di riferimento si tradurrà positivamente nel fiorire di molte attività commerciali, industriali, di servizio e sanitarie, vale a dire di iniziative dal grosso potenziale economico-finanziario. Con ricadute proficue per commercio, industria e servizi e, con un “ulteriore sforzo di immaginazione”, anche per il mondo del risparmio gestito, delle SGR e delle banche, che possono ad esempio costruire prodotti di investimento indirizzati a questo specifico settore, o ancora per il mondo assicurativo, chiamato a soddisfare forse il più rilevante dei bisogni, vale a dire quello di creare le precondizioni per sfruttare il più a lungo possibile l’aumento della speranza di vita (possibilmente) in buona salute. Sia attraverso strumenti già noti come le polizze Long Term Care sia tramite servizi ancora da ampliare o esplorare come quelli di ascolto e soluzione delle problematiche socio-sanitarie delle persone più sole o bisognose di assistenza, servizi che si sarebbero peraltro potuti rivelare strategici già nel corso dell’emergenza da nuovo coronavirus.
Come confermato purtroppo anche da COVID-19, i trend demografici in atto pongono indubbiamente tanto il pubblico quanto il privato davanti a una sfida: una sfida che può trasformarsi in un’opportunità anche per il mercato a due condizioni. Vale a dire che tutti i soggetti coinvolti sappiano innanzitutto cogliere la portata del cambiamento e investire nei nuovi bisogni dei Silver, favorendo dove possibile anche sinergie tra pubblico e privato e, quindi in seconda battuta, che sappiano intercettare e sapersi adeguare alle peculiarità del segmento, trasformandole in un’offerta mirata che favorisca l’invecchiamento attivo e la massima partecipazione sociale di una fetta di popolazione destinata a diventare sempre più ampia.
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