Nonostante la parola “invecchiamento” evochi spesso un’accezione negativa, si potrebbe piuttosto pensare alla vecchiaia come una fase di normale cambiamento.
(da fonte GuidaPsicologi)
Invecchiare è fisiologico
Banale a dirsi, ma nonostante la parola "invecchiamento" evochi spesso un'accezione negativa, si potrebbe piuttosto pensare alla vecchiaia come una fase di normale cambiamento. Invecchiando il nostro corpo è soggetto a numerosi cambiamenti fisiologici: le ossa si fanno più fragili, aumentano le rughe sul viso, e vista e udito possono essere meno efficienti. Allo stesso modo, anche le strutture cerebrali non sono immuni al cambiamento.
Alcuni studi mostrano come dopo i 50 anni la corteccia cerebrale tende ad assottigliarsi, e si assiste ad una accelerazione della perdita neuronale con conseguente riduzione della sostanza grigia e della sostanza bianca. Questi cambiamenti sono percepibili dall'esterno perché comportano generalmente delle alterazioni nel funzionamento cognitivo.
Può accadere in modo più frequente che ci si dimentichi di prendere qualcosa al supermercato, di non trovare una parola durante un discorso, o di sentirla solo "sulla punta della lingua"; si tende ad essere più lenti a svolgere le tipiche attività della vita quotidiana e può risultare più difficile eseguire più compiti simultaneamente.
Tuttavia, l'invecchiamento non è di per sé sinonimo di patologia, in quanto questi cambiamenti possono essere considerati "normali" fintanto che non impattano significativamente sulle autonomie e sulle capacità di portare a termine le attività quotidiane. Anche se non deve essere considerato un sinonimo di malattia, l'aumentare dell'età è, invece, uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di patologie neurodegenerative come la demenza.
Ma è possibile contrastare gli effetti dell'invecchiamento?
Gran parte degli studi neurobiologici e neuropsicologici al momento si stanno focalizzando sulla ricerca dei cosiddetti "fattori di protezione", che paiono promuovere un invecchiamento sano e di successo.
Il concetto di plasticità cerebrale è chiave nella comprensione dei fattori che proteggono dal declino cognitivo nella terza età e ciò che è importante ricordare è che le strutture cerebrali non smettono mai di modificarsi dal momento in cui nasciamo: sempre più studi ci dimostrano, infatti, come la capacità del nostro cervello di riorganizzarsi, modificarsi e adattarsi al cambiamento non sia tipico solo dell'infanzia, ma invece perdura per tutta la vita.
Proprio grazie alla plasticità, anche nella terza età è possibile la creazione di nuove connessioni neuronali, che permettono di compensare le perdite che si verificano per i normali processi di invecchiamento.
A questo punto, la ricetta per un invecchiamento di successo sembra prevedere proprio quegli ingredienti che favoriscono e alimentano la plasticità del cervello. Certamente i fattori genetici giocano un ruolo importante, ma questi interagiscono fortemente con i fattori ambientali, che derivano, cioè, dalla nostra specifica esperienza di vita.
Uno stile di vita sano, un'attività fisica regolare, il coinvolgimento in attività mentalmente stimolanti e la partecipazione a relazioni sociali significative sono esperienze che accrescono la nostra riserva di risorse cognitive utili per compensare le normali modificazioni che occorrono a livello cerebrale nella terza età.
In poche parole, per invecchiare bene la parola d'ordine è attività! Così come è possibile allenare i nostri muscoli per renderli più forti, anche il cervello è un organo che può essere rafforzato se la palestra che frequentiamo è una "palestra per la mente", ricca di stimoli che attivano specifiche aree cerebrali che rischierebbero altrimenti di spegnersi progressivamente.
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